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Lady Gaga a Torino

Torinoooo! Vi Amo miei piccoli Mostriiiiiiii!

Un boato pervade il PalaIsozaki di Torino ogni volta che Lady Gaga ripete queste parole e i brividi percorrono i corpi di migliaia di persone come una scarica elettrica simultanea e l’energia, l’adrenalina, la felicità, la gioia si diffondono in ogni remoto angolo della struttura.

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Un tendone circolare enorme cela il palco scenico, vi vengono proiettate delle immagini, un disegno geometrico quasi ipnotico, delle onde sonore, ed ecco finalmente il Count Down. Un ombra su fondo viola, è lei, si riconoscono le maxi spalline, il delirio generale, un tappeto di telefoni e macchine fotografiche immortala la diva in posa mentre canta “Dance in the dark”. Finalmente si alza il sipario, è lì a due passi da tutti noi, è vera in carne ed ossa, Lady Gaga si manifesta con i suoi costumi su una scalinata di siringhe, lo sfondo ricorda la New York dalle mille insegne al neon con in primo piano una macchina sporca che nasconde un pianoforte nel cofano.

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E’ una trasformazione continua, non fa in tempo a finire la canzone che ha già cambiato abito tre volte, diademi, maschere, copricapi, mantelli,stivali di Swarovsky, maxi spalline, brillanti, strass e tutto questo incorniciato dal corpo di ballo. Maschi scultorei e perfetti, femmine toniche ed energiche tutti insieme simulano masturbazioni, si arrampicano su piramidi di ferro contorcendosi in pose sensuali,suonano arpe celtiche, chitarre elettriche dalle forme più disparate e porgono gli onori alla regina del pop che illumina tutti con il bagliore della torcia magica, il disco-stick.

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I costumi sono il trionfo dell’eccesso: dall’underwear in latex mentre al piano che va in fiamme, avvolta nel tricolore italiano, ricorda i familiari emigrati che inseguivano il famoso Italian-American Dream, al copricapo scultura da suora con abito in plastica opaca; dal mantello nero con cui suona la maxi tastiera conica dalla piattaforma centrale rialzata, all’angelico abito dagli echi McQueeniani con rouches, plissè e chiffon. Non si fa a tempo a fotografarla che scompare in una botola e riappare macchiata di sangue, o strizzata in un abito verde Veronese con la gonna fatta di prismi che sembrano quarziti da estrarre dalle rocce, o imbacuccata in una pelliccia di parrucche biondo platino che ricordano alcune creazioni di Maison Martin Margiela.

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Le scenografie completano la magia: dalle strade cittadine con i vagoni della metropolitana alla selva oscura di Central Park in un atmosfera notturna con alberi giganti che infittendosi diventano una boscaglia di pruni in cui, come un locus amoenus, spunta una fontana marmorea con Gesù Cristo da cui sgorga sangue sulle note di “Alejandro”. Dalla passerella centrale su cui si innalza una piattaforma meccanica che sembra far volare l’angelo bianco cantando “So Happy I Could Die”, alla fantastica scena di “Paparazzi” in cui il mastodontico Fame Monster, guidato e animato dal corpo di ballo, terrorizza la diva con le sue file di denti e occhi luminosi.

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Nei cambi scena venivano proiettati dei teaser con Lady Gaga mentre saltava su tacchi altissimi (tra cui le Armadillo-shoes), mentre mordeva un cuore con tanto di sangue che le colava dalla bocca e le macchiava il viso o mentre, in posa statuaria, una ballerina le vomitava addosso glitter turchese macchiandole il vestito di balze e rouches bianche, il tutto condito con remix tecno-house.

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Il lungo show è stato intervallato da momenti di colloquio-confessione con il pubblico in cui Lady Gaga testimoniava le proprie sofferenze di adolescente, quando frequentando i migliori college si doveva confrontare tutti i giorni con gente falsa che non la considerava per via dei suoi difetti estetici o di quando sua nonna le rimproverava di essere troppo “skinny” insegnandole che la femminilità sta nelle rotondità o raccontando il suo rapporto d’amore con l’Italia, nonostante non parli italiano, si professa come gran cuoca! Dal momento commovente in cui, al piano, dedica “Spechless” a suo padre, a quando dice a tutti quanti di essere sempre sé stessi ed essere orgogliosi di essere ciò che siamo magri, grassi, gay, etero, alternativi, eccentrici, lavoratori, studenti perché in ognuno di noi c’è l’anima forte di una rock star che sarà destinata a scintillare.

Il Gran finale è stato con “Bad Romance”, la canzone dell’anno fresca fresca di vittoria dagli EMA tenutisi a Madrid mentre lei stava performando a Budapest, tutti in coro abbiamo cantato e ci siamo goduti lo spettacolo. Dalla maxi sfera armillare canta e balla fino a raggiungere il centro della pista dimenandosi in un costume d’argento luccicante e invitando tutti a ballare e cantare con lei per chiudere in bellezza la serata.

Italian architect into fashion. Art curator in love with books, flea markets and interior design.

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